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      Sanno d'ordinario gli artefici come con la mano adoprar debbano gli strumenti dell'arte loro, e come condurre a termine il lor lavorìo; ma non tutti sanno veracemente onde la materia del lavoro più perfetta si tragga e più fina; e così mancandosi di certi, piccioli, sì, ma necessari principj, nelle professioni e nell'arti, veggiamle in alcuna parte manchevoli essere ed imperfette. Lo che se non avvenisse pur troppo nel bello, sonoro, prestantissimo toscano parlare, uopo a me non sarebbe di favellarvi in quella guisa che qui son per fare.
      Non si può certamente negare, e il negarlo sarebbe un opporsi troppo sfacciatamente al vero; che il forte e l'essenziale del discorso, ed il fondamento della buona eloquenza si è in primo luogo l'abbondevolezza delle cose, e la robustezza de' concetti e dei sentimenti, sul capitale di un gran sapere accumulata; poscia, venendone la giudiciosa scelta del genere di parlare, cui fa d'uopo valersi, o alto o mediocre o umile, secondo il quale vengono per conseguente le frasi alla materia acconciamente scelte, e con bel giro adattate e legate; laonde se in un componimento umile o giocoso, e da scherzo, tornerà bene, in cambio di morire, valersi della frase, per esemplo, Trar l'aiuolo o Tirar le cuoia, in un altro, che gravità e sublimità ricerchi, che gli antichi nostri appellavano favellar dignitoso, sarà infinitamente più adatto il dire Render l'Anima al Creator suo; o vero Pagare alla natura il suo diritto. E di vero, come dai letterati vien comunemente osservato, altra è la frase, che l'immortal nostro Boccaccio pone in bocca del semplice Calandrino, favellante co' suoi compagni, altra è quella della eloquente Ghismonda verso il cuore dell'amato Guiscardo.


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Lezioni di lingua toscana
di Domenico Maria Manni
Editore Silvestri Milano
1824 pagine 179

   





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