Per fine non dissomigliante da questo leggiamo noi di Demostene aver lui tenuto in parlando alcune pietruzze in bocca, cioè ad oggetto di esprimere con suono proprio le voci, avend'egli, massime in ciò, alcun naturale impedimento.
Ma perchè la bella armoniosa sonorità, che nel periodo si ricerca, e spezialmente nel principio e nel fine di esso, dalla misura delle sillabe depende, io di passaggio refletto, se vero sia che noi, rispetto a' Greci ed a' Latini, maggiore infelicità abbiamo per colpa di nostra favella; conciossiachè Bartolommeo Cavalcanti asserisca che noi Toscani non abbiamo determinazione certa, dal consenso de' dotti approvata, della lunghezza e brevità delle sillabe nostre, e nè pure in conseguenza piedi stabiliti, donde regolar si possa la toscana armonia. Io per conciliare il detto di sì grand'uomo col vero, intender voglio che non vi avea forse alcuno, a sua cognizione, che della quantità de' nostri piedi avesse scritto. Del resto come si potrebbe egli dire che noi Toscani non abbiamo della quantità delle sillabe quella certa determinazione che il Cavalcanti asserisce di non saper che vi sia, quando erane in verità stato di già scritto a suo tempo; imperciocchè se il Cavalcanti morì sul finir dell'anno 1562, fin del 1556, che vale a dire sei anni prima, era venuto a luce per opera di Pierfrancesco Giambullari il ragionamento di Carlo Lenzoni sulla Quantità della nostre sillabe, de' nostri piedi, de' nostri periodi. Anzichè prima di lui, gli Accademici addimandati della virtù che misero in campo la novella poesia toscana, su' piedi alla foggia latina regolata, e che nel 1539 ne dierono per le stampe i precetti, di tale determinazione di sillabe si servirono.
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