Ma del rimanente, è impossibile a schifargli dentro al periodo, e non vi è prosa, che non si possa, tagliandola in qualche forma, ridurre in versi." Quindi biasimando chi in una edizione del Boccaccio trasse fuori i versi che per entro le sue Novelle gli vennero fatti inavvertentemente, segue a dire: "Ma il bello è, che costui, che è tanto rigoroso sopra un'opera così grossa, e così celebre, comincia una sua brevissima dedicatoria di questa edizione con una filza di versi, il che è assai peggio, dicendo:
Il sommo pregio dell'uom meritevoleNon resta mai nell'angusto confine
Di sua dimora, ma perennementeOvunque è cognizione di virtù
Vera si spande; quindi l'Eccellenza
Vostra sdegnar non deve, che io da lunge, ec.
Soggiugne poscia, che in ciò gli era avvenuto quello che a Girolamo Peripatetico "di cui Cicerone nell'Oratore dice così: Elegit ex multis Isocratis libris triginta fortasse versus Hieronymus, peripateticus in primis nobilis, plerosque senarios, sed etiam anapœsticos, quod quid potest esse turpius? etsi in eligendo fecit malitiose; prima enim sillaba dempta ex primo verbo sententiæ, postremum ad verbum primam rursum sillabam adiunxit insequentis. Ita factus est anapœsticus is, qui Aristophaneus nominatur; quod ne accidat, observari nec potest, nec necesse est. Sed tamen hic corrector in eo ipso loco, quo reprehendit ut a me animadversum est studiosius inquirente in eum, emittit imprudens ipse senarium." Assembra indi il dotto annotatore, e difensore insieme del nostro Boccaccio, altri luoghi di Quintiliano, vari dall'accennato, benchè nel mentovato capitolo: "Et metrici quidem pedes adeo reperiuntur in oratione, ut in ea frequenter non sentientibus nobis omnium generum excidant versus.
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