Ed appresso:
E contra, nihil est prosa scriptum, quod non relegi possint in quædam versiculorum genera. Sed in adeo molestos incidimus grammaticos, etc." E conchiude: "Sono adunque da schifare quei versi che rimangono belli e spiccati in messo della prosa, come quello di Cicerone nella Catilinaria:
Senatos hoc intelligit, Consul videt,
o quello che è sul principio del Timeo di Platone, e degli Annali di Cornelio Tacito, le quali opere non istà bene che comincino con un verso esametro, perchè dà troppo negli occhi."
Quindi il Panigarola si ristrigne a disapprovare chi nella prosa fa inconsideratamente la rima; e, quanto a' versi, così ragiona: "Del resto, torno a dire che i versi senza rime ci vengono detti, come li iambici a i Latini, ed a' Greci, senza che noi ce ne accorgiamo; e che però non è possibile nelle prose fuggirli; nè meno è viziosa cosa il non fuggirli."
Ma, per tornare donde mi dilungai io col discorso, piacemi di portare, in conferma dei precetti di sopra, l'esemplo di alcun periodo leggiadrissimo del Boccaccio; e sia questo tolto dalla Novella prima della quarta Giornata.
Ghismonda, udendo il padre, e conoscendo non solamente il suo segreto amore essere discoperto, ma ancora esser preso Guiscardo, dolore inestimabile sentì, ed a mostrarlo con romore, e con lagrime, come il più le femmine fanno, fu assai volte vicina; ma pur questa viltà vincendo il suo animo altiero, il viso suo con maravigliosa forza fermò; e seco, avanti che dovere alcun priego per sè porgere, di più non stare in vita dispose, avvisando già esser morto il suo Guiscardo.
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