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      Se vaghezza, e leggiadria, ciò si conseguisce coll'uso delle parole vaghe e leggiadre, quali sono Snello, Gentile, Aura, Grazioso, e sì fatte. E vi ha chi vuole che tali riescano queste a cagione della bella collocazione e scompartimento di vocali e consonanti.
      Se cerchiamo dolcezza, le voci dolci la producono. Ciò sono Luce, Desio, Gioire, e simili altre.
      Se languidezza, e bassezza, le parole lunghe, e sdrucciole vi sono al caso.
      Se asprezza, durezza, e severità, l'adoprare parole di sì fatta natura vi contribuisce, che tali esser possono Stordimento, Discoraggiare, Stranezza, Frastuono, e mille a queste somiglianti, e vie più acconce, che ora alla mia memoria sovvenire non sanno; le quali peravventura son fatte tali dall'unione di consonanti dure, e difficili alla pronunzia.
      Da quella giudiciosa scelta di voci, che meglio paroleggiamento appellar si potrebbe, nasce, per mio avviso, che certuni senza sapere perchè, nè in qual modo, sorprendere si sentono dall'altrui favellare.
      Ma, tornando a quel che sia periodo toscano, resta per ultimo da avvertire, che tre cose d'ordinario, a rimuoverne la sua bellezza, sembra che sieno più dell'altre acconce e adattate. Lunghezza eccedente, trasposizioni non naturali e sforzate, e il verbo al fin del periodo strascinato. E sebbene corre voce che il Boccaccio il primo a così adoprare ci mostrasse col suo esemplo la via, pure fareivi conoscere, se il tempo il sofferisse, non esser ciò vero; mentre nelle bellissime Novelle sue non si troverà il verbo in fine, se non quando naturalmente vi venne.


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Lezioni di lingua toscana
di Domenico Maria Manni
Editore Silvestri Milano
1824 pagine 179

   





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