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      L'accento, per passare ad esso, si dice una certa posa, che la voce fa sopra una sillaba, e non sull'altre; e suo ufizio è, distinguendo le sillabe, far la parola sonante. E divero fu osservato che chi parla, tanto pronunzia bene, quanto fa le pose ov'elle vanno. Quindi per porre nella scrittura gli accenti a' loro luoghi, donde si faciliti la buona pronunzia, si osservi che niun monosillabo di due sole lettere si va segnando comunemente con accento; da cui si rendono eccettuati, a motivo di necessaria distinzione, per agevolare l'intelligenza, Dì, per Giorno, Sì, per Così, o Tanto, il Sì affermativo, il Nè negativo, e il Dà verbo, a differenza del Da segno dell'ultimo caso, i quali non ostante si accentano tutti; e ad essi aggiugner si può È verbo, a differenza della copula.
      Gli antichi nostri certamente non conobbero nelle loro scritture che cosa fosse segno di accento, non l'avendo usato giammai; oltre a che ne sfuggivano soventemente ancor la pronunzia, dicendo Die, Sie, Morie, Pensóe. E da questa mancanza nacquero infiniti sbagli; d'un de' quali or mi ricorda, ed è, che in due sensi fu preso un verso di Dante, mentre alcuni lessero:
      Costei pensò chi mosse l'universo;
      ed altri:
      Costei penso che mosse l'universo.
      Oggi avvi ancora l'accento acuto, sebbene non ha alcun ufizio, fuorchè lo starsi ove nella pronunzia cader puote equivoco, siccome in Gía, Balía. Vi furono bensì alcuni che munirono ogni parola con accento o grave, o acuto, o circonflesso, e ciò per la vil paura, che i loro libri un dì non venissero ben letti ed intesi; dimodochè scritture tali si paiono un canneto, o, come il padre Bartoli disse, uno stormo d'allodole o d'upupe col pennacchio e con la cresta.


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Lezioni di lingua toscana
di Domenico Maria Manni
Editore Silvestri Milano
1824 pagine 179

   





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