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      Ma Pompeo lasciatosi strascinare o dalla propria persuasione o dalle mene dei suoi nemici a diverse risoluzioni, calò seco loro agli accordi. Una delle condizioni della pace si fu: per un quinquennio a Pompeo si concedesse il comando della Sardegna, purché né alcun fuggitivo egli vi potesse accogliere, né altro navilio vi costruisse. In oltre l'obbligo imposto gli fu di tutelarla colla sua flotta e d'inviare nella metropoli una determinata quantità di frumento [262] .
      La letizia del popolo romano per tal accordo corrispose al precedente inasprimento degli animi per la guerra, ma non poté esser durevole; ché in quel rimescolamento di tante ambizioni non era permesso l'aspettare uno stato di cose tranquillo fino a quando spenti non fossero i rivali meno fortunati. Causa delle rinnovate dissensioni fu quello stesso Menodoro che avea conquistato la Sardegna e che la governava allora, le veci sostenendovi di pretore. Egli era venuto in sospetto a Pompeo, dappoiché col rilascio generoso di Eleno mostrato avea di voler agevolarsi con Ottaviano qualche appicco di conciliazione. Chiamato poscia da Pompeo onde rendergli ragione del frumento e del denaio riscosso in Sardegna, sprezzò il comando, ed avendo ucciso i messaggieri che lo recavano, spedì affrettatamente ad Ottaviano chi lo rendesse avvisato del come aveva egli stanziato di rimettere in sua balia l'isola, il navilio e l'esercito. Ottaviano, del quale potrebbe dirsi a ragione che allora solamente cessò d'esser malvagio, quando non ebbe più bisogno di nuovi misfatti, non esitò punto nell'accettare il partito offertogli da un traditore, ed accolse benignamente Menodoro, facendogli distinto onore e fregiandolo di auree anella e della dignità equestre.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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