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      Ebbe pertanto da quel tempo la Sardegna a venerare come leggi sue, oltre ai primi ordinamenti che i generali conquistatori vi lasciavano, anche le stabili disposizioni che la repubblica più volte fermava per l'amministrazione delle provincie, e quelle instabilissime che lecito era a ciascun pretore di stanziare per lo governo della propria. Cicerone, il quale amministrò con autorità proconsolare la Cilicia, ne fa conoscere come l'editto che norma esser dovea del di lui reggimento, fu da esso composto in Roma prima della sua partenza, e come per istrada, abboccatosi egli coi pubblicani della sua provincia, alcune cose vi aggiunse appartenenti al loro interesse e che egli trasse per intiero dall'editto di Appio Pulcro, suo precessore in quel comando [303] . Non a tutti era dato il poter colla perspicacia e filosofia di Cicerone compilare una legge; non tutti poteano da lontano e prima d'assumere il comando conoscere i bisogni della provincia; o se questi erano cogniti allorché l'editto si scriveva, la varietà istessa e mobilità delle disposizioni dipendenti dall'arbitrio d'ogni novello pretore erano già il più grande dei mali; ché duro dovea riescire ai provinciali l'obbligo di consultare in ciascun anno per la tutela de' propri dritti le nuove tavole. A ciò aggiungasi la frequente discrepanza fra le deliberazioni pretorie e quelle leggi del senato che il governo riguardavano delle provincie. Lo stesso Cicerone un esempio ne somministra, riferendo all'amico suo Attico [304 ] le vicende di una lite di usure nella quale d'uopo gli era porre d'accordo tre cose poco conciliabili, l'editto suo pretorio, un senatusconsulto dei consoli Lentulo e Filippo e la legge Gabinia.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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