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      Antico proverbio si è: né tutto, né da tutti, né sempre; ché inumanità sarebbe rifiutare ciascheduno; ad ogni istante accogliere, viltà; di nissun oggetto far sceveramento, avarizia. Ciò pertanto, ch'è prescritto, non dover i proconsoli ed altri officiali accettare alcun donativo, non intendasi dei consueti presenti di cibarie, ai quali non si può protrarre il nome di dono". Agevole cosa si è a chiunque il riferire a questa, comecché limitata condiscendenza della legge, le tante occasioni di facile corruzione de' magistrati dalle storie rapportate; poiché più dura l'uomo a violare la disposizione d'una legge che ad escire dei di lei termini. Onde basterà questo cenno per giudicare quanti maggiori allettamenti al misfare avessero i governanti delle provincie nei tempi dell'impero, nei quali più frequenti doveano esser anche gli esempi degli Albuci e degli Scauri che quelli dei Catoni e dei Gracchi.
      Tali erano le massime colle quali i presidi delle provincie romane disponeansi ad assumere l'esercizio dei molti e gravi loro doveri. Questi consistevano precipuamente nel ministrar la giustizia, locché nomavasi giurisdizione, e nella podestà del comando che chiamavasi imperio. Soleano perciò eglino al disimpegno di queste separate incumbenze consagrare una distinta porzione dell'anno, dedicando l'estate alle bisogne della milizia e la stagione invernale agli affari del foro [320] ; nei quali o procedevano privatamente ascoltando nel loro gabinetto le querele dei provinciali col solo aiuto d'un ministro di confidenza, e ciò si diceva trattare una causa domestica; oppure in modo solenne, pronunciando le loro decisioni nella basilica, sedenti in tribunale, circondati dagli officiali del foro e da quei commessari che i Romani chiamavano recuperatori, rappresentanti nelle provincie i decemviri destinati in Roma ad assistere ai giudizi dei pretori urbani.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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