Che più? ad essi lasciammo la sola terra, che in realtà ogni cosa loro noi stessi possediamo". Ecco come un imperatore romano dei più moderati stimava le proprietà dei popoli vinti; basta perciò a giudicarne il leggere questa di lui relazione, nella quale, anche dopo tolta l'esagerazione dipendente da una immaginazione concitata dal calore della recente vittoria, tanto pur resta da far comprendere che i popoli soggetti di Roma erano meno i padroni del loro suolo che i coloni dei loro dominatori.
Le terre delle provincie non erano solamente soggette al carico di cui si è parlato; altro tributo sopportavano in ragione delle medesime i proprietari di ogni sorta di bestiame, e chiamavasi tale tributo dritto di scrittura perché i pastori obbligati erano a dinunziare il numero delle loro greggie ed armenti al pubblicano, il quale lo registrava nel suo libro. Anche questa prestazione consistente per lo avanti in uno determinato censo, cambiò di natura e d'importanza durante il dominio degli imperatori, sotto ai quali, cessata la menzione del diritto di scrittura, s'incontrano invece le notizie dell'occupazione da essi fatta di tutti li pubblici pascoli delle provincie e dell'averne eglino incamerato l'entrate. Si chiarisce anzi per irrefragabile testimonianza, essersi più volte tali terre concedute ai privati coll'incarico di nutrirvi razze di cavalli per la guerra e farne omaggio all'imperatore, locché avrebbe una sembianza del succeduto sistema feudale dell'Europa [353] . Gli armenti, che dominici si chiamavano [354] , vale a dire del padrone, per lo più composti erano di cavalli, che nelle praterie delle provincie si alimentavano.
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