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      Dal codice di Giustiniano si raccoglie che al pari del canone metallico, un censo si riscuoteva per il taglio delle cave di pietra, trovandovisi prescritto che coloro i quali s'impiegano in tal lavoro rappresentar debbano al fisco la decima parte dell'emolumento [368] ; e di tal canone è da presumere sia stata la riscossione estesa pure alla Sardegna [369] .
      Sembra egualmente credibile che la Sardegna sopportato abbia nei tempi romani la gabella oggidì sì diffusa del privativo commercio del sale. Libero era questo nei primi tempi di Roma, ma dopo l'espulsione dei re, tolto venne ai privati e riserbato alla repubblica [370] ; per la qual cosa non facendosi alcuna menzione della Sardegna da Plinio in quei luoghi nei quali imprese a parlare delle diverse qualità dei sali e delle regioni che le producevano [371] , può conghietturarsi che la metropoli provvedesse col diritto di privativa ai bisogni della provincia.
      Uno dei tributi più noti del popolo romano quello si era della ventesima parte nelle successioni, che Augusto istituito avea per sovvenire di tal dazio l'erario militare [372] . Questa prestazione sul principio non gravitava sui provinciali, perché non potevano essi per testamento succedere ad alcun cittadino romano e solo pel dritto delle genti godevano del favore delle successioni intestate. Ma non mancò chi li costrinse poscia a sottoporsi ad un tributo così odioso, imponendo loro al tempo stesso l'insolito peso di un favore non desiderato. Caracalla togliendo ogni distinzione nella concessione della romana cittadinanza, a tutti i provinciali estese con questo titolo oramai illusorio, perché troppo universale, gli aggravi reali che seco recava, e fra gli altri quello del pagamento della suddetta ventesima [373 ] che accrebbe anche fino alla decima: e con ciò ricevette l'ultimo crollo la fortuna dei provinciali, i quali sudditi erano ad un tempo obbligati alle antiche prestazioni, e cittadini tenuti alle gabelle romane con sì grossolano artificio loro comunicate.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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