Onde non è una meraviglia se il grado diverso di concitamento nelle persone vaglia a dare alla resistenza tutti quei caratteri che con varia gradazione accostansi alla fermezza od all'ostinazione. Omettendo pertanto di intrattenermi maggiormente in sì malagevole argomento, io darò qui compimento a questi cenni sui due illustri prelati sardi del IV secolo [511] . E sospendendo al tempo istesso la narrazione delle vicende gloriose della Chiesa sarda, li cui fasti non presentano nel declinare di quel secolo e nell'innoltrarsi del seguente ricordo veruno meritevole di speciale menzione [512] , riferirò invece i tristi casi della Chiesa stessa e dello stato, rammentando la feroce dominazione dei Vandali, che per più anni aggravò le sorti dell'isola nostra; unico avvenimento che nelle notizie rimaste delle cose civili della Sardegna succede alle memorie isolate ragunate nel libro quarto di questa Istoria.
I Vandali dopo aver già sotto l'impero di Onorio occupato la signoria dell'Africa, non pretermettendo nissun'opera abile ad allargare il loro dominio, eransi innalzati a maggiori speranze, udita la morte di Valentiniano terzo imperatore, il quale era perito per una di quelle cause che nella storia delle cose umane, ossia delle umane debolezze, influirono mai sempre meglio che altra qualunque a mutare la faccia delle nazioni; per quella cioè che il nome regio avea già proscritto in Roma e spento il governo decemvirale. Genserico, re di quei barbari, non pago del saccheggio di Roma, drizzava in ciascun anno le sue incursioni alle terre litorali dell'imperio; nella qual cosa governandosi egli, come narra Procopio [513] , più colla fortuna che col consiglio, e lasciando in balia dei venti la direzione del suo navilio, la sinistra sorte della Sardegna così volle, che le vele di questo re pirata fossero spinte sopra i suoi lidi.
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