Scrisse pertanto Zazone al suo fratello una lettera in cui gli riferiva: aver egli stesso colle sue mani sparso il sangue di Goda; l'isola intiera obbedire di nuovo al re dei Vandali; si celebrasse adunque festivamente in Cartagine la vittoria e gli animi si rinfrancassero per tale fortunato incominciamento della guerra. Ma Cartagine era già in potere di Belisario allorché vi giugneva il messaggio, e Gelimero avea con espressioni più dimesse scritto al fratello: i destini suoi sinistri averlo allontanato dal suo fianco nel momento del maggior bisogno; abbandonasse dunque la Sardegna e la tirranide, volasse col navilio e colle squadre al suo soccorso; ché, stolto consiglio sarebbe stato aver pensiero d'altro, mentrecché la somma delle cose era in forse. Al quale invito satisfaceva tosto Zazone fra le lagrime e il lamentarsi dei suoi soldati, che tacitamente, e senza darne indizio agli isolani, del cattivo loro fato si rammaricavano [544] .
Poco giovò quel tardo accozzamento dei due eserciti vandalici. Onde dopo la novella vittoria di Belisario tutto il campo rimase a questo generale di riconquistare la Sardegna, la quale per la forza delle cose già cadeva sotto la podestà dell'imperatore. Venne pertanto inviato nell'isola Cirillo con numerosa soldatesca; e Fara, altro dei duci, mostrava al tempo stesso il capo mozzato di Zazone agli isolani, li quali tentennavano ancora nel cedere agli imperiali, non perché gradito loro tornasse il dominio dei Vandali, ma perché paventavano la calamità delle novelle gare.
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