Esultante perciò di gaudio scrivea Gregorio a Zabarda, encomiandolo per l'opera prestata, confortandolo a continuare nella santa intrapresa, promettendogli di renderla nota ed accetta alla corte imperiale [570] .
I Barbaricini non erano al tempo di Gregorio i soli che deviassero dalla credenza comunemente abbracciata nella Sardegna. Molti dei foresi impiegati nel coltivare gli altrui poderi in varie terre serbavano le antiche superstizioni. Calde esortazioni dirigeva per tal cagione il pontefice alle persone nobili ed ai possessori dell'isola [571] , acciò valendosi di tutti gli espedienti che loro somministrava la superiorità delle ricchezze e della dignità, convertissero alla fede quei loro coloni nei quali non il buon volere forse era manchevole, ma l'istruzione. Con espressioni più agitate riprendeva al tempo stesso la negghienza di quei prelati, i quali comportavano nelle terre delle loro chiese lo scandolo dei coloni non convertiti [572] . E ciò non bastando, dappoiché il fisco imperiale non mostravasi punto indulgente nel condonare ai novelli convertiti la tassa allora in uso per la libertà dei sacrifizi pagani, indirizzavasi Gregorio a Costantina Augusta, pregandola affinché si abolisse quella rea esazione, e ponendole in vista il poco giovamento che l'Italia dovea ritrarre dai lucri derivati da così impura sorgente [573] .
Della gerarchia ecclesiastica della Sardegna in quell'età ci danno anche le lettere di Gregorio sicura contezza. Vi si dichiara come uno solo era nell'isola il metropolitano, cioè il vescovo di Cagliari, del quale gli altri prelati tutti doveano riconoscere la superiorità. Questo solo è quello al quale in molte lettere si dà dal pontefice la qualificazione di arcivescovo o di vescovo della sarda metropoli [574] . Questo solo comunicava agli altri vescovi, che il pontefice appella subordinati [575] , le ricevute istruzioni per la conversione già mentovata dei coloni delle chiese.
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