La qual notizia oltre ad indicarci la morte già allora seguita della regina Adelasia, manifesta eziandio che non ad un novello signore, ma alla madre del lontano re continuarono ad obbedire quei popoli in tutti quelli intervalli di tempo nei quali non furono, come in appresso si vedrà, molestati dai Pisani.
Questo fortunato occupatore del trono turritano è quel donno Michele Zanche che il principe dei poeti italiani tuffò nella quinta bolgia del suo Inferno, ove la spessa pegola che inviscava d'ogni parte la ripa, nascondeva dai raffi dei terribili custodi del luogo i barattieri più famigerati [864] . E ben degno giudizio portò di lui il poeta; poiché le arti colle quali egli guadagnossi il cuore e la mano di una femmina che, concubina nella fresca età, e moglie nella matura, non conobbe il pudore delle vergini, non il disinganno delle matrone, arti dovettero essere di fraude e di simulati blandimenti. È da credere perciò che veritiero sia il ritratto di lui lasciatoci da uno dei più chiari commentatori del poema divino [865] , il quale lo chiamò solenne truffatore e uomo dilettantesi nelle sue infamie. Onde non dee parere strano se il poeta anche colaggiù lo dipinse non mai stracco del rammentare le sue passate tristizie.
Col nome infausto di Zanche la serie si chiuse dei giudici turritani; e le varie terre di quel giudicato trovaronsi divise fra alcune potenti famiglie delle due repubbliche e suggette all'influenza or dell'uno, or dell'altro dominio. Così la famiglia dei Doria, nella quale maggiori diritti erano passati, s'è vero il parentado contratto da Brancaleone Doria coll'ultimo giudice Michele [866] , ritenne con indipendenza maggiore dei tempi trascorsi il luogo d'Alghero e le castella Genovese, di Monteleone, Doria e Roccaforte, colle regioni di Anglona, Ardara, Bisarcio, Meilogo, Capo d'Acque, Nurcara ed una porzione della Nurra.
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