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      Frattanto l'armata pisana, comandata dal conte Manfredi della Gherardesca, cui era fallito il primo disegno, conscia del disastro di Villa Iglesias, compariva nelle marine di Cagliari forte di cinquantadue navi di guerra, di cinquecento cavalieri fra tedeschi e italiani, di duemila balestrieri di Pisa e di dugento altri cavalli ragunati nell'isola al primo toccar quelle terre. L'infante avea già raccozzato presso a Cagliari tutta la sua armata; e non volle perciò interpor dimora a cimentarsi col navilio nimico. Abbenché siasi poscia risoluto lo scontro in vane dimostrazioni di guerra; avendo le due flotte mareggiato al cospetto l'una dell'altra fra li due promontori di Carbonaria e di S. Elia senza mai affrontarsi. Sbarcarono poscia senza contrasto i Pisani nel luogo detto la Maddalena; donde indirizzaronsi alla volta di Decimo, assistiti da numerose bande di Sardi che parteggiavano se non per li più amati, per li più antichi loro signori; in modo che i fanti dell'esercito pisano sommavano già a seimila combattenti. L'infante allora deliberò di farsi loro incontro; ed avendo accomandato all'ammiraglio la difesa del navilio e la vigilanza sugli assediati del castello, partissi inverso Decimo con quattrocento guerrieri di grossa armadura, cencinquanta armati alla leggiera e duemila soldati di partito; riserbando a sé il governo del retroguardo e commettendo quello dell'antiguardo e della battaglia a don Guglielmo di Anglesola. Assalironsi le prime schiere nella pianura di Lucocisterna; e tale fu l'impeto con cui i Pisani ed i Sardi percossero gli Aragonesi, che i vessilli tutti del re caddero a terra; onde grande ventura fu riputata la vicinanza delle squadre dell'infante, il quale poté senza ritardo rinfrescar la pugna.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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