Ed invero nell'animo ardimentoso e prode del principe era riposta la sorte di quella giornata. Il suo stendardo era caduto nel primo scontro delle sue schiere nel campo dei nimici. Aspra perciò erasi appiccata la mischia fra gli Aragonesi non comportanti tale perdita ed i Pisani che li ributtavano. Fu in quel punto che l'infante, rammentando i consigli del genitore, slanciossi nel più folto della zuffa; e fermando il piede sul perduto vessillo e puntando con tutto il suo vigore contro alle frotte che lo circondavano, tenne per lung'ora discosti da sé i nimici. La qual cosa grandemente migliorò i destini del suo esercito; perché, caduto in quel punto il cavallo dell'infante, i cavalieri aragonesi con maggior furore volarono a fiancheggiare nel pericolo il loro principe. Ciò non ostante i cavalli tedeschi poterono altra volta rinfrancare le soldatesche pisane; alle quali fu di nuovo fatale la bravura di don Alfonso. Egli si allontanò talmente dai suoi nel correre per la seconda volta contro ai nimici, che i gentiluomini stessi, posti in guardia della di lui persona, non poterono arrivarlo dappresso. Ma il momento era quello in cui le sorti della giornata risolvevansi a favore degli Aragonesi; ed i Pisani cominciavano già a sbrancarsi ed a retrocedere. Il perché la temerità di don Alfonso in luogo di partorire a lui grave rischio, precipitò la ritratta dei fuggenti; la quale fu disastrosa, essendo periti nel campo e nelle acque di uno stagno vicino meglio di mille e dugento combattenti; nel mentreché i più fortunati riparavano disordinatamente e per tragetti al castello di Cagliari col loro capitano Manfredi.
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