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      Le cose dei Pisani andarono vieppiù dibassando allorché, saputasi la partenza della novella flotta aragonese, capitanata, come ho detto, da Pietro di Belloc, i duci delle galee di Pisa, non sofferendo loro l'animo di aspettare quell'incontro tanto rischioso, deliberarono di schivarlo, riparando senza dilazione al porto pisano. Il perché essendo da un canto l'esercito regio ringagliardito per l'arrivo di quel navilio e dall'altro essendo mancato ai nimici il duce Manfredi, perito per causa delle molte ferite da lui toccate nelle recenti battaglie, si devenne infine a trattare di un amichevole convegno per lo mezzo di Barnaba Doria, uomo ligio ad Aragona. Le condizioni dell'accordo, conchiuse con Benedetto Calci, ambasciadore e sindaco della repubblica, furono quest'esse: si ponessero in libertà i prigioni; i Pisani avessero l'arbitrio di dimorare nelle terre tutte dell'isola e negli altri stati del re, professandogli fedeltà; il comune di Pisa riconoscesse dal re, con titolo di feudo, il castello di Cagliari coi borghi di Stampace e di Villanova, col porto e collo stagno; restasse alla Corona il dominio delle saline, riserbato al comune un canone; i Pisani pel loro vassallaggio pagherebbero al re un annuo censo. Diede allora l'infante la solenne investitura del feudo di Cagliari agli antichi sovrani del luogo; i quali si obbligarono a far rispettare quelle condizioni colla prestazione di eguale omaggio dai conti dalla Gherardesca; e rimisero tosto in potere degli Aragonesi le rocche dal comune fino ad allora possedute nell'isola [959] . Anzi le condizioni della pace non erano ancora soscritte, che già, penetrando nel castello stesso della capitale, il quale doveasi continuare a governare dai Pisani, don Pietro de Luna con cento soldati facea per la prima volta sventolare sulla torre del maggior tempio lo stendale di Aragona.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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