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      Quel movimento pertanto precipitato nel suo principio e, ciò che più sorprende, mal governato anche dopo, ebbe sinistro fine. I soldati regii procedevano nella via con spensierataggine e disordinatamente. Innoltratisi nelle terre dei nemici, incontrarono tutta la loro oste [1000] , la quale lasciò passare intatte quattrocento persone dell'antiguardo composto di Sardi; e forse avrebbe rispettato il passaggio pure delle altre schiere, se queste non avessero avuto alla testa un giovinetto. Gerardo veggendosi comparire innanzi la fanteria nimica e stimando facile bisogna lo sperperarla coll'impeto dei suoi cavalli, lanciossi coll'avventataggine della sua età fra quella gente, seguito da un suo fratello chiamato Monico e da alcune compagnie di cavalieri. Ma i Sardi cacciavano nel petto dei cavalli la punta delle loro lancie, ed i cavalli atterrandosi rompevano l'unione degli assalitori o li calpestavano. Seguiva quindi il movimento più franco degli assaliti ed una grandissima strage dei soldati regii, coi quali cadevano estinti fra i primi i due giovani condottieri. Sopravvenendo allora il luogotenente generale con Ughetto, suo nipote, e vedendo abbattuto il fiore del suo antiguardo e volta in fuga la ciurma, non osò porre a cimento le schiere di Arborea ed i pochi cavalli che conduceva seco. Onde avendo indietreggiato con diligenza, riparò alle terre del giudice; dove fermò alla fine il piede in una foresta che gli lasciava qualche speranza di sicuro posamento. Quivi non più ai perigli futuri, ma ai danni trascorsi voltò la mente; e lasciandosi padroneggiare dal suo dolore, estenuato ad un tempo per la fatica della giornata, ansante pel calore della stagione, e perché mancava in quella foresta anche l'acqua con cui spegnere la lunga sua sete, spirava miserevolmente fra le braccia dei suoi scudieri [1001] .


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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