Partissi quindi don Bernardo di Cabrera tenendogli dietro quarantacinque galee con cinque grosse navi; e giunto prima a Mahón, ebbe quivi la felice novella che Niccolò Pisano, capitano generale dei Veneziani, confederati del re, lo aspettava nel porto di Cagliari con venti galee; che il luogotenente erasi già impadronito del Castello Genovese; stringersi vigorosamente l'assedio d'Alghero; esser più che mai necessario ed opportuno l'arrivo della flotta aragonese. Né questo si fé desiderare; ché tosto comparve don Bernardo di Cabrera nelle marine d'Alghero, ove raggiunto dalla flotta veneta e dal luogotenente che assediava la rocca, preparossi a fronteggiare il navilio genovese; il quale, forte di sessanta legni e comandato da Antonio Grimaldi, non tardò a pararglisi innanzi nelle acque di Portoconte. Lodasi sommamente dal re don Pietro, che indirizzatore fu ad un tempo, e scrittore dei fasti aragonesi della sua età, la destrezza e l'artifizio con cui il capitano generale ordinò il suo navilio; e gli scrittori stessi genovesi, quantunque alla superiorità delle forze nemiche abbiano attribuito la sconfitta della loro flotta, non poterono dissimulare la bravura e il consiglio del Cabrera. Egli riempié in quella giornata i doveri tutti di capitano. E forse non fuvvi fra tanti guerrieri chi da un canto e dall'altro non abbia riempiuto i suoi obblighi; ché animoso e terribile durò per più ore il conflitto, simile meglio ad una pugna terrestre che ad un combattimento marittimo; avendo il capitano aragonese con una catena di antenne e di travi attaccato le navi sue e quelle dei confederati, e sottoposto in tal maniera ciascuno alla necessità di pugnare o di cadere congiuntamente.
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