Ma tentati vanamente replicati assalti, il re, sospettando pure di qualche novello armamento in Genova e sapendo essersi raccozzata a quattro miglia di distanza la gente del giudice, che, forte di duemila cavalli e di quindicimila fanti, disponeasi ad affrontare il campo reale, calò finalmente, dopo che Alghero avea resistito meglio di quattro mesi, a proposizioni di accordo. E per mezzo di don Pietro di Exerica, sposo della sorella del giudice, donna Bonaventura di Arborea, si composero le dissensioni di Mariano e di Matteo Doria col re con queste condizioni: Alghero aprisse le porte agli Aragonesi; gli antichi abitanti, troppo manifestamente ligi a Genova, sgomberassero il luogo scortati dai soldati regii e salvi nella persona e nell'avere; il novello luogotenente del re fosse persona gradita al giudice; si obbliassero le cose già avvenute e possedesse egli quietamente le castella e terre reali di Gallura; venisse del pari condonato ogni eccesso a Matteo Doria e gli si confermasse l'investitura del feudo di Monteleone e di Castelgenovese [1015] .
Non si può dubitare non sia stata questa pace poco onorata per le armi del re; il quale non per altro pareva aver mosso un'oste sì poderosa e spiegato tutta la pompa del personale suo intervento alla guerra, che per lasciar le cose del suo vassallo disobbediente nello stato primitivo ed acquistare alla Corona la sola possessione d'Alghero. Aggiungasi che il contegno del giudice era tale anche allora, che malgrado delle favorevoli condizioni stipulate a suo pro, punto ceder non volle alla dimanda rinovellatagli della libertà del fratello Giovanni; morto poscia prigioniero insieme con un suo figliuolo.
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