Benché questo stato di cose fosse più sinistro che incoraggiante per gli assediati, pure non vollero essi mancare del debito loro, ed arditamente rispondevano: esser eglino venuti colà per far rispettare dagli assalitori il vessillo di Cesare; non confidar delle loro forze a segno che si augurassero una felice ventura; confidar bastantemente del loro coraggio per augurarsi ventura onorevole; esser soverchio l'allettare con liberali offerte o l'intimorire con minaccie di minori disastri quelli che già erano preparati al maggiore di tutti; a morire in quelle rovine.
Né queste loro risposte si risolvettero in vane dimostrazioni di tracotanza; perché non solo durarono la fatica necessaria a sostenere quell'assedio, ma furono anche osi di tentare una sortita, guidati dai valorosi fratelli Manca; i quali sboccando repentinamente dalla rocca con le loro genti, e spintisi a corsa addosso al nemico combatterono con tal foga, che senza grave loro danno poterono rientrar nelle mura ricchi di una bandiera tolta ai Franzesi nella mischia. E siccome le buone al pari delle ree sorti si appiccano l'una all'altra, dopo questa felice impresa, altro conforto derivò agli assediati dall'opportuno arrivo di don Gioffredo di Cervellón, che giugnendo da Sassari con rinforzi seppe malgrado dell'assedio trovar modo di penetrare nel castello. Per la qual cosa Andrea Doria e Renzo da Ceri stimando esser necessario oramai un formale assalto, incominciarono tosto a trarre delle loro bocche da fuoco contro alla rocca in modo che le mura erano già in qualche luogo aperte ed una torre ruinava.
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