Mentre la Sardegna intenta alle sue civili bisogne tranquillava da lunga pezza, dimentica quasi delle guerre straniere, una novella e subitaria invasione di nemici conturbò per vari giorni l'isola intiera. Cagione ne fu la guerra asprissima accesasi per molti anni fra il re Cattolico ed il Cristianissimo; durante la quale il conte di Harcourt, capitano dell'armata franzese giunta allora dall'Oceano per soccorrere il duca di Parma, veggendo che fallavagli l'opportunità di osteggiare in Italia per aver gli Spagnuoli restituito a questo principe gli stati da essi occupati, avvisò che dovesse conferire alla di lui gloria se in altra guerresca fazione impiegasse con buona ventura le sue soldatesche. La relazione dello sbarco che egli intraprese allora nelle spiaggie di Oristano, dell'occupazione fatta di questa città e del pronto abbandono seguitone, fu registrata dagli scrittori franzesi negli annali del tempo [1326] . Essi attribuirono alla sola superiorità numerica delle soldatesche sarde, accorse a difendere la capitale d'Arborea, il prudente consiglio di ritirata abbracciato dal loro capitano; e sulla loro fede lo storico Gazano anch'egli ne parlò in tal maniera da lasciar dubbio se il valore degli isolani abbia contribuito al veloce termine d'una impresa che sapeva meglio di temerità che di eroismo. A me ora è dato il poter spargere maggior luce su questo avvenimento glorioso per le armi sarde, mercé delle memorie contemporanee serbatesene fino al presente ed ignorate da quello scrittore [1327] . Delle quali io userò, non abuserò; non essendo malagevole a chi con animo pacato confronta le narrazioni degli opposti scrittori il conoscere da qual punto ciascuno di essi sia trascorso all'esagerazione; ed in qual punto siasi o mostrato, o dissimulato quel vero, il quale malgrado degli artifizi storici trapela sovente o dalle reticenze che importano una sfavorevole confessione, o dalle ragioni non rispondenti ai fatti che importano una ragione diversa delle cose.
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