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      Notò egli le due bocche da fuoco, li otto vessilli, li trentasei prigioni rimasti in potere dei nazionali; ed il bottino d'Oristano recuperato in gran parte; e gli undici paliscalmi trattenuti a forza nello sgombero dell'oste franzese, e fra questi quello comandato da un Carlo di Rossel; ed il numero dei moschetti e la quantità delle munizioni incontrate entro quei burchi. Circostanze sono queste, le quali sanno meglio di verità che quella dell'inseguirsi per una giornata e mezza le bande fuggitive per terre ignote; donde, al termine di sì lunga corsa, ben malagevole saria tornato agli invasori il dar indietro; selvaggi com'erano di quei luoghi e circondati assai dappresso dai drappelli crescenti dei nazionali. Vaglia dunque a palesare la soverchia condiscendenza dell'annalista straniero verso i suoi, la prontezza istessa della loro ritirata; e si dica pure che non senza grave strage dei nostri passarono quelle fazioni, purché non si neghi che quelli furono i perdenti contro ai quali con maggior evidenza parla il risultamento finale della mala pruova da essi fatta.
      Si distinsero sopra gli altri in quella difesa oltre ai già nominati Aymerich, Masones, Villapaderna e Fortesa, don Paolo Vidal, che sotto gli ordini di don Diego d'Aragall comandava le squadre sarde, don Girolamo Pitzolo, don Gasparo Pira, don Gasparo Sanna, don Sisinnio Ponte e i fratelli Concas, cavalieri di Mara, i quali combatterono specialmente con valore contro ai soldati novellamente sopraggiunti. Resta che io dia cenno d'un'altra maniera di coraggio mostrata in quella occorrenza dall'arcivescovo Vico.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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