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      Che se gli uffiziali talvolta per la loro natura trascorrevole rendevano coi loro arbitrii inutile la saviezza e l'autorità delle leggi, i Sardi erano certificati da lunga prova che ricorrendo al sovrano incontravano sempre sul trono la lealtà e la giustizia. Manifestasi ciò dagli atti delle corti, nelle quali la verità anche ardimentosa detta contro ai maggiori ministri dell'isola lungi dal partorire rimbrotto, partorì cauti ordinamenti. Né d'uopo era che con tale solennità pervenisse all'orecchio dei monarchi la certezza delle avanie; poiché anche col mezzo di più moderati richiami si ottenne più volte, che a fronte della legge ammutisse l'autorità stessa dei viceré. Della qual cosa mi giova addurre un esempio fra i tanti che presentansi. Il viceré conte di Lemos, personaggio di grande intratura nella corte di Madrid, avea chiamato alla capitale in tempo di temuta invasione nemica cinquecento cavalli, e bandito pel sostentamento di quella soldatesca una dirama di ventisettemila scudi sardi da pagarsi da tutti gli isolani. L'imposizione era comandata dalle strette urgenze della guerra. Ciò nonostante bastò che alcuni sindachi dei comuni rappresentassero al re essere state in quel provvedimento trasandate le leggi, perché malgrado degli ordini di eseguimento già dati dal viceré si comandasse dal sovrano l'annullamento del nuovo tributo e la riparazione di qualunque aggravio sopportato [1471] .
      Se a queste ragioni si aggiunge il lungo abito per cui la Sardegna mescolata di lingua, di costumanze e di discipline colla Spagna, poteasi meno considerare come uno dei regni della monarchia che come una delle provincie del regno, si verrà in chiaro quale sia il motivo per cui i Sardi nella devozione avuta in quella signoria siano venuti sopra alla considerazione di quei vizi che nell'amministrazione dello stato talvolta manifestavansi.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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