Se prima di chiamarli tali io dovessi scrupoleggiare nel confronto delle loro opere coi precetti dei grandi maestri, che onorando nella poesia la sola eccellenza bandirono giustamente non doversi comportare nella più sublime delle scritture i pregi mezzani, forse dovrei tacere. Ma siccome a pochi è dato il toccare quell'apice di perfezione; e perciò l'eccellenza che rese immortali i nomi di molti autori fu meglio il pregio di una od altra poetica dote che l'unione e concordia di tutte; non sarà strano che io senza accendermi troppo alla lode e senza peritarmi imprenda a far conoscere quelle virtù letterarie che in alcuni dei nostri poeti risplendettero. E forse ciò gioverà anche a confortare il lettore della sterile narrazione dei nomi dei nostri scienziati; perciocché mentre le scienze attirano l'una o l'altra classe degli uomini studiosi, i quali ammaestrati a discipline diverse con diverso grado di entusiasmo apprezzano il merito delle varie dottrine, la divina poesia tragge del pari all'ammirazione di sé le persone dal sesso, dall'età, dalla fortuna, dalla disposizione della mente divise in ogni altro rispetto; purché batta nel loro petto un cuore capace di generosi o teneri sensi.
Il primo poeta sardo che nel secolo XVI meriti menzione è Antonio de Lo Frasso, nato in Alghero, scrittore in lingua castigliana di dieci libri della fortuna d'amore [1572] . Ed acciò non dalla contezza che io son per dare delle di lui rime si derivi la ragione principale di pregiare quest'opera, ma dall'opinione che ne portò un uomo grande, io comincierò dal rammentare ciò che ne pensava quell'acuto e purgato ingegno di Michele Çervantes nella sua immortale scrittura del gentiluomo della Mancia [1573] . Faceasi dai due migliori amici del cavaliere della triste figura quello scrutinio dei di lui libri cavallereschi e poetici che forma uno dei capitoli li più festivi dell'opera, allorché cadde fra le mani il volume del Lo Frasso.
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