Una di esse cantava: dal giorno che io ti vidi, giovanetta di mille perfezioni, m'accorsi invero d'esser io mortale". Un'altra con dolcissimi versi esprimeva questa giusta sentenza: è volere d'amore che fra gli amatori fedeli quello che asconde le sue pene abbia raddoppiato il dolore; io sopporto e taccio; ah! per mia fé che non potrei essere a peggior punto".
Nella sua gita in Catalogna volle anche il poeta far suonare agli orecchi delle dame di Barcellona gli accenti della musa sarda, cantando alcune sue stanze nel patrio idioma, nelle quali è solo da pregiare l'armonia del verso. Egli è più felice allorché ripiglia la lira castigliana. Con questa intraprese fra le altre cose a celebrare una giostra che in quel tempo si corse in Barcellona per le nozze del conte di Chirra, signore sardo; e ne descrisse così minutamente ogni parte, che coloro i quali nelle cose letterarie amano specialmente di ritrovare l'immagine dei tempi andati, non si abbatteranno senza senso di curiosità nella relazione d'uno spettacolo atto più di qualunque altro a chiarire nelle varie maniere del torneare il grado diverso di umanità, e nelle differenti foggie della rappresentazione il carattere grave, vivace o stravagante delle nazioni. La gran piazza di Barcellona era chiusa da un vasto steccato. Nel luogo più orrevole siedevano i giudici della giostra. Nei due lati brillavano le più vezzose gentildonne; le quali non del pregio della lancia o dello scavallare l'avversario doveano portar sentenza, ma in giudizio più competente erano destinate ad arbitrare; le une del merito di quei motti e segni cavallereschi che dagli Italiani eziandio chiamavansi imprese; le altre di quel complesso di doti naturali ed artificiate per lo quale un giovanetto leggiadro, vispo ed avventatello cattivavasi in quei tempi il fortunato titolo di galante.
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