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      Restandomi così più largo campo ad onorare i più distinti, passerò a ragionare d'uno dei maggiori poeti sardi di quel tempo; o per dir meglio a darne contezza; poiché se il di lui ingegno fu grande, poca fu la di lui fama fra i nazionali per la rarità degli esemplari delle sue scritture; niuna fra gli stranieri per ragione della lingua sarda, nella quale dettò li migliori suoi versi. È questi il dottore Girolamo Araolla, cittadino di Sassari [1583] ; uomo dotato di calore d'immaginazione, di robustezza d'intelletto e di proprietà e grazia di dire; uomo perciò meritevole che la memoria sua non più giaccia sepolta nell'oscurità dell'obblio o dell'ignoranza, ma brilli della sua luce in queste pagine. Seguendo pertanto il mio pensiero di far conoscere al lettore i tratti migliori che bastino a far concetto dei nostri poeti, io qui intraprendo di voltare in altra lingua alcune delle strofe dell'Araolla, senza punto alterare la di lui maniera di scrivere e serbando anche per quanto si può l'ordine istesso delle espressioni. Ecco come nella primiera di quelle sue rime intitolata: Della miseria umana, egli seppe abbellire con tinte novelle il comune pensiero della fragilità e dei travagli dell'umana vita: quando l'aurora imperlata mostrasi rosseggiando nel cielo, tenero e fresco pompeggia ogni fiore spruzzato lievemente di rugiada; ma allorché l'ardore solare prosciuga ogni umore della terra svenata, la tenerezza e il rigoglio si ammortiscono, e la verzura è secca. Così avviene a quella umana tiepida morte che chiaman vita; la quale apparendo tenera e fresca dai suoi natali in breve giro va a spegnersi, e dice al tempo: non fui tale come ora mi veggo; le forze mi mancano, che un dì mi cresceano; oh! quale mi trovo!


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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