Pagina (648/1187)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Non v'ha dolcezza quaggiù che mescolata non sia con travagli. Venne appena a noi lo stentato e caro acquisto, che risolvesi già in una serie d'amarezze. Quante mutazioni videro oramai i miei occhi; e da quante parti mirarono lesa ad ogni istante la volubile e vana contentezza degli uomini! felice chi trapassando nella cuna diventa cittadino immortale colà dove non più cresce o scade la speranza Che cosa ora resta di quell'augusta Roma, alla quale per tanti anni e lustri sì propizio girò ogni pianeta? che cosa della greca e troiana venusta prole per cui in mal punto nacque la figlia di Leda? polvere i corpi; atterrate le alte magioni".
      Seppe ancora l'Araolla abbandonare i pensieri religiosi fra i quali si aggirano per l'ordinario i suoi versi per pugnere argutamente i difetti della sua età. Molti tratti di nobile satireggiare contengonsi nell'epistola in terza rima che egli scrisse a don Antonio Camos, allorché questi vestì l'abito religioso, ed in un suo capitolo intitolato al viceré conte d'Elda; nel quale deplorando l'infelicità dei cultori delle muse fa un quadro dei vizi fortunati del suo tempo, e particolarmente dei perniciosi effetti dell'adulazione da lui con giustissima espressione figurata, bianca intieramente al di fuori, e bruna al di dentro; intenta a far nel suo animo commistione di ogni pensiero ambizioso, ed avente due volti in una sola persona" [1584] . Se in queste rime l'Araolla si manifesta poeta, nel suo capitolo della visione, del quale sono per dar contezza, si dimostrerà uno di quei poeti nei quali la robustezza dell'immaginare punto non nuoce alla semplicità del dire.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





Roma Leda Araolla Antonio Camos Elda Araolla