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      Malgrado adunque di tale stato di cose la Sardegna continuava nella sua quieta sommessione. E l'arciduca riconosciuto solennemente per monarca delle Spagne dai sovrani alleati, avea già tocco il territorio della penisola senza che il menomo studio di parti si fosse manifestato fra i Sardi. Cominciarono poco dopo i mali umori a serpeggiare anche fra essi per una cagione che parrebbe non accomodata alla gravità delle cose succedute, se nel volgersi delle umane sorti non fossero il più delle volte i grandi risultamenti prodotti da motivi leggierissimi. Erasi abolita in Ispagna per ragione di economia la compagnia delle guardie del re, che dicevasi la compagnia di Borgogna. Benché dovessero queste guardie essere governate per le regole della loro istituzione da un nobile borgognone, il marchese di Laconi don Francesco di Castelvì, gentiluomo sardo, erane stato nominato capitano da Carlo II, il quale onoravalo di special favore. Filippo affine di ricompensarlo della perdita di sì illustre carica, lo innalzò alla dignità di grande di Spagna; e con ciò risvegliò nel marchese di Villasor don Artaldo di Alagón, già rivale del Castelvì in potenza e ricchezza, la rivalità dell'ambizione. Il marchese di Villasor non avea bisogno di grand'impulso perché la sua tiepidezza nell'obbedire al novello regnante si voltasse in disdegno. La sua unica figliuola donna Emanuela di Alagón era stata impalmata dal conte di Montesanto don Giuseppe de-Sylva; il cui fratello conte di Çifuentes, avendo già in allora consentito palesemente alla ribellione propagatasi ogni dì maggiormente in Ispagna, erasi di sfuggiasco partito dalla corte.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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