La flotta nel mentre abbassava le ancore nel porto di Cagliari e la città riempivasi di turbamento e di furore di parti. Trassero tosto alla reggia i partigiani di Carlo e di Filippo; gli uni per trattenere nell'animo del viceré la titubazione e la panica paura; gli altri per francheggiarlo se fosse possibile. Fra questi distinguevansi per particolare devozione al re il conte di Montalvo ed il suo figliuolo maggiore don Giuseppe Masones, il conte San-Giust di S. Lorenzo co' suoi figli, il conte di S. Giorgio don Francesco Manca e don Felice Nín, conte del Castiglio. Offerivano eglino le loro persone e gli averi per sostenere colle armi la causa regia; e l'ultimo sopra ogni altro essendo dotato d'animo ardente e giudicando nuocere sommamente quell'accidia ed incertezza del viceré, incalzavalo vivamente con quelle ragioni che a lui pareano più induttive a scegliere un partito qualunque di difesa. Ma il marchese di Giamaica, straniero delle cose guerresche, svigorito e già deliberato a cedere, lasciava che le cose risolvendosi per se stesse andassero per la peggiore. Così il provvedimento dato per ragunare le milizie paesane restava infruttuoso perché il conte di Montesanto, comandante di quelle genti, aveasi fatto lecito d'impedirlo. Così quantunque il conte Mariani milanese, commissario generale dell'artiglieria, si disponesse ad adempiere i suoi doveri, non poté raccozzare per ministrare le bocche da fuoco pochi artiglieri: perocché il marchese della Guardia e don Gasparo Carniçer aveano già distornato dal loro obbligo quei soldati, molti de' quali trovavansi acconciati col Carniçer pel servigio della zecca da lui governata.
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