Così i congiurati ebbero maggior campo a provocare l'inobbedienza e la fellonia nelle poche compagnie di fanti spagnuoli che trovavansi colà di guarnigione. E così in una capitale ben munita e riboccante di vittuaglie veniva meno ogni speranza di salvezza, appetto a poche centurie di soldati ragunaticci, perché mancava chi comandasse la difesa.
L'ammiraglio in questo mentre facea la chiamata con un'altiera e minacciosa lettera scritta al viceré ed al magistrato municipale, promettendo la conservazione degli antichi privilegi della città. Il magistrato diede pruova splendida della sua fede, proponendo al viceré di resistere. Ma questi erasi già allora accordato per le condizioni della resa col conte di Montesanto; consigliatosi anche a tal uopo coll'arcivescovo don Bernardo Carignena, il quale sebbene non fosse stimato partigiano dell'arciduca, non perciò era tenuto seguace della causa regia; riputato qual era uomo di animo peritoso e schivo di moleste cure, e perciò inchinevole sempre a quel partito per cui non gli fosse mestieri mettersi in briga. E qui sparisce intieramente nel marchese di Giamaica l'orrevole qualità di supremo governante e si propala l'uomo privato in tutta la schiettezza de' suoi sentimenti. La condizione ch'egli poneva per la resa della capitale era quest'una: potesse egli dipartirsene salvo nella sua persona e nelle sue masserizie. I patti ragguardanti alla cosa pubblica abbandonavansi da lui all'arbitrio del consiglio municipale. Significata pertanto per mezzo del conte di Montesanto questa deliberazione all'ammiraglio, i consoli della città costretti a provvedere alla non pensata a sì grave bisogna, riduceansi a ricercare la conservazione de' propri privilegi e la concessione di un termine di sei mesi per coloro che bramassero allontanarsi dall'isola in quella mutazione di signoria.
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