Le intenzioni del governo spagnuolo serbaronsi così chiuse che lo stesso marchese di S. Filippo, ministro allora del re cattolico presso alla repubblica di Genova, benché uomo di provatissima fede e perspicacia, ne restò lunga pezza all'oscuro; e solamente quando ogni cosa era in punto, ricevette dal cardinale l'ordine di tenersi presto per passare nell'isola; dove il re gli concedeva un'autorità assoluta, salvo nelle cose guerresche; nelle quali non pertanto era stato commesso ai capitani della spedizione di conformarsi ai consigli di lui. Erano questi capitani il marchese di Leide, destinato al comando delle truppe, ed il marchese Mari, comandante della flotta; sotto al quale capitanava una divisione del navilio don Baldassarre di Guevara. L'esercito sommava ad ottomila fanti e seicento cavalli. La flotta consisteva in dodici vascelli da guerra e cento legni da trasporto; sui quali eransi imbarcate le vittuaglie necessarie per tre mesi, con cinquanta pezzi di battaglia, dodici di campagna, e gran copia di attrazzi e di munizioni.
Non sì tosto nel salpare della flotta dal porto di Barcellona si rendette palese lo scopo della spedizione, che un grido unanime d'indegnazione s'innalzò dappertutto contro ad un'impresa la quale sopra al precipitar l'Europa in novelli trambusti, dicevasi anche iniqua: poiché erasi preso per rinfrescar la guerra con Cesare il momento in cui questi impiegava le maggiori sue forze nella guerra ottomana favoreggiata dai voti di tutta la cristianità. Lo stesso sommo pontefice pronunziò altamente essersi allora fatto un uso nefando de' sussidi da lui conceduti alla corona spagnuola sulle rendite delle chiese; i quali ricercati per alimentare la guerra contro agl'infedeli, voltavansi a conturbare la pace delle nazioni cristiane.
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