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      Avea il re deputato per conchiudere col novello pontefice quel trattato il marchese Ferrero d'Ormea, suo consigliere e generale delle finanze; e nella scelta d'un tant'uomo ogni punto era già compreso per lo buon risultamento dell'affare. Incominciava egli, infino dal primo suo giungere a Roma, a cattivarsi l'animo del pontefice [1637] . Davano favore alle rimostranze del ministro il cardinale Alessandro Albani ed il prelato Lambertini, già rispettato infin d'allora per quella dottrina e rettitudine d'animo che lo portò poscia al colmo degli onori e della celebrità. Era ugualmente di buon auspizio per le ragioni del re l'elevazione alla sagra porpora del padre Agostino Pipia sardo, uomo caro oltre modo al pontefice e devoto al novello suo sovrano [1638] . Onde dopoché la cosa fu lungamente trattata e sottilmente discussa in una congregazione di cardinali, senza che le opinioni si accostassero ad un punto di concordia, il pontefice prese sopra di sé di compierla col voto di pochi consiglieri di sua confidenza: e con uno speciale indulto [1639 ] concedeva a Vittorio Amedeo ed ai successori di lui nel regno il padronaggio delle chiese ed il diritto di presentare alla sede apostolica le persone da preporsi alle chiese metropolitiche e vescovili ed ai monasteri. Ed acciò rimanessero riserbati i diritti di diversa natura esercitati dalla Chiesa romana nel regno e guarentite le ragioni di piena sovranità che il re dovea far valere, si accordava ad un tempo che quelli fossero espressamente mentovati nelle clausole dell'indulto e che per queste si accettasse dal segretario di stato del pontefice una specifica protestazione del re.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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