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      La notizia di tal indulto perveniva tosto in Sardegna e vi provocava grandissimo gaudio; generale essendo il desiderio di veder cessati i danni derivanti dalla lunga vedovanza delle chiese. Ed il viceré, il quale avea avuto la sorte di veder dileguarsi gli ultimi sintomi della diffidenza da taluno sentita intorno alla stabilità del nuovo governo (mercé della pubblicità allora data nell'isola al trattato stipulato in Vienna fra Cesare e Filippo, nel quale era espressamente rinnovellata la ricognizione del re di Sardegna) [1640] , traeva da' felici negoziati colla corte di Roma, e dalla circostanza in quel tempo avvenuta della copiosa provvigione fattasi dal re di artiglierie grosse da muro e di molti altri attrazzi guerreschi per munire le rocche del regno [1641] , un altro argomento per far meglio conoscere ai nazionali che gli ordinamenti del novello regnante davano chiara vista d'una signoria non meno durabile che provvida.
      Toccò al barone di S. Remigio, che già altra volta avea deplorato i tristi effetti della discordia fra gli ufficiali del re ed i ministri del clero, il ricogliere il frutto della felice riforma che dovea in tal rispetto partorire la nomina de' vescovi sardi: poiché nello scadere il tempo prefisso al governo dell'abate del Maro, il re avvisando che gioverebbe allo stato l'esperienza già altra volta portatane dal barone, lo deputava di nuovo al supremo reggimento dell'isola. Ed uno certamente degli atti più lieti del suo comando era la promulgazione della nomina fatta dal re di saggi e zelanti pastori per le chiese tutte del regno.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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