In tal modo il conte del Castiglio don Ferdinando Nín con pubblico stromento obbligavasi ad allogare nelle terre della sua baronia di Senes cinquanta famiglie straniere; ed a propagarvi ad un tempo i piantamenti e le seminagioni del cotone, del gelso, del comino e dello zucchero. Ma sebbene conseguisse che le sue esperienze tornassero felici in quest'ultimo rispetto, e particolarmente nella coltivazione del cotone riconosciutosi di ottima natura; non andò lunga pezza che le famiglie da lui chiamate a formare la nuova popolazione o perirono, o dovettero rimpatriare; perocché avendo egli tratto quella gente dalle provincie del Piemonte di cielo più salubre, non era sperabile il poter assuefarle al soggiornare in quella baronia. Talché il re scorgendo che malgrado dell'infausto risultamento migravano tuttodì molte delle persone di contado degli antichi suoi stati, le quali anche spontanee dipartivansi delle case paterne per ricercare in Sardegna ciò che chiamasi la buona fortuna; era obbligato con severi regolamenti ad impedirne l'imbarco, insino a che altre opportunità permettessero di meglio sperare di quel passaggio. Così un progetto dell'arcivescovo di Cagliari per far coltivare da popolatori stranieri le terre da lui possedute nella provincia di Solci, lasciavasi tosto cadere in dimenticanza per le difficoltà incontrate nel recarlo ad opera. Così ricadevano pure a niente gli sforzi fatti da Costantino Stefanopoli e da Elia Cassara, procuratori de' Greci rimasi nella Corsica dopo la partenza della colonia di Montresta, per popolare con seicento anime o in quel torno la penisola solcitana detta di S. Antioco.
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