È cosa invero sorprendente per coloro che sono abituati a veder in molti altri paesi le persone di contado digradate nelle facoltà intellettuali, e vieppiù in quelle dell'immaginazione, l'assistere in Sardegna a quelle gare poetiche che contadini o pastori, privi affatto d'ogni conoscenza di lettere, sostengono con calore e con vivacità nelle occasioni di qualche famigliare o pubblica allegrezza. Sta loro in mezzo lo zampognatore del villaggio, che un personaggio egli è pure della più grand'importanza in un paese, ove né celebransi nozze, né conviensi a festa, vegghia o tripudio alcuno senza il conforto delle rustiche avene. Invita egli coi suoi preludi al cimento quei Tirsi e quei Coridoni, che alternativamente cantano, benché ignorino che amant alterna Camoenae. Il metro più usitato si è quello delle ottave, e la pruova maggiore d'ingegno è quella d'impadronirsi delle estreme parole dell'avversario e di ritorcerle alla meglio al proprio scopo, sia che si esalti la ninfa del giorno, sia che si festeggi l'ospite della famiglia, sia che la gara si provochi sovra un soggetto designato. Non è già da dire che in mezzo a quel rovinio di endecassillabi non si odano i più bizzarri strafalcioni della terra; ma tuttavia questi sono più rari allorquando non volgari sono i rivali, ma dei più noti della provincia; e cadono mai sempre su ciò che non è lecito aspettare da persone digiune d'ogni sapere, cioè sulla proprietà e disposizione dei pensieri; di rado sulla parte che può chiamarsi materiale, della poesia, quale si è la consonanza delle rime e la cadenza ed accento dei metri; ché a ciò supplisce quella natura istessa per cui tanto dista dalla crassizie beotica l'acume attico.
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