[779] Anche questa carta dell'operaio Benedetto è riportata da P. Tronci, (Memorie istoriche, cit., all'anno 1173), il quale la crede una donazione fatta da Barusone di alcune corti, mentreché, per quanto si può raccogliere in quello scorrettissimo ed intrigato tenore d'uno strumento, scritto, come si spiega il Tronci, in lingua più barbara che sarda, Barusone vi confermò solamente le offerte di Benedetto; al quale forse tenne anche compagnia nel viaggio fatto a Pisa col vescovo Giovanni di Galtellì e con molte altre persone, per recar ad effetto le donazioni. Non sono anche alieno dal credere che questo operaio Benedetto abbia in tal carta compreso più i frutti della propria sollecitudine, che quelli della sua liberalità; parendomi probabile ch'egli con quel titolo fosse incaricato delle collette da farsi nella provincia a benefizio di quella chiesa. Del rimanente, il voler conoscere chiaro il senso della carta in quella vera barbarie e sconciatura di espressioni, non è impresa da pigliare a gabbo", od almeno è opera superiore al grado della mia attenzione ed a quello della mia pazienza.
[780] Il Tronci registrò tal carta nel luogo già citato. Nel sigillo che vi è effigiato vedesi da un lato il capo di Barusone e dall'altro l'inscrizione Barusone rex Galluri. La carta è priva di data. M. A. Gazano (Storia della Sardegna, cit., lib. III, cap. 8) credette che questo Barusone di Gallura abbia vissuto fino all'anno 1182, perché nella donazione fatta in quest'anno da Barisone di Arborea, riportata dal Muratori nella più volte citata dissertazione 32 e di cui si darà cenno in appresso, si legge fra i testimoni il nome di un giudice Baresone de Lacon.
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