Ad ogni modo, se da questo monumento non apparisce quale fosse il dritto dei giudici nel riscuotere una parte delle decime ecclesiastiche, apparisce almeno che le decime ecclesiastiche erano al tempo dei giudici pagate nell'isola. Sebbene non di lunga durata dovette poscia essere tal riscossione; poiché esistono nel regio archivio di Cagliari due reali carte in data del 1332 e 1409, riferite anche dal cavaliere G. Cossu (Città di Cagliari. Notizie compendiose sacre e profane, Cagliari, Stamperia Reale, 1780, cap. 11), nella prima delle quali il re don Alfonso riprende l'arcivescovo di Cagliari Gundisalvo perché contro all'antico costume, il quale non permetteva ai prelati dell'isola di riscuotere veruna decima, egli avea introdotto quell'esazione nella sua diocesi; e nella seconda il re don Martino, annunziando i concerti presi colla Santa Sede, permette il pagamento della decima nella diocesi cagliaritana, della quale la terza parte spettar dovea alla Corona. Questi monumenti dimostrano che l'introduzione generale del pagamento delle decime ecclesiastiche nell'isola fu posteriore al governo aragonese; e che in quelle stesse diocesi (come sarebbe la cagliaritana), nelle quali pagavansi al tempo dei giudici le decime, questa riscossione venne poscia per cause a noi ignote soppressa od intermessa. Il clero pertanto devesi credere fosse in quei luoghi e in quei tempi dotato con terre e con schiavi; come lo erano le molte chiese dei monisteri, delle quali tratto tratto si diede cenno; e come lo erano le possessioni delle chiese stesse vescovili nella precedente età di san Gregorio Magno, per quanto si chiarisce in varie di lui epistole, e segnatamente in quelle nelle quali si lagna dello scandalo di soffrirsi in quelle possessioni i coloni non convertiti alla fede.
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