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      Eppure vi son molti mariti, che sono tiranni anche amando la propria moglie, che sono fuori di questo perfetti galantuomini, cittadini perfetti, padri esemplari.
      Essi sentono imperioso, incessante, inevitabile il bisogno di far sentire alla loro compagna (vorrei dire schiava), che essi soli sono i padroni di casa, che a loro soli spetta ogni autorità, ogni diritto di comando, ogni arbitrio del bene e del male.
      Dei pronomi possessivi non conoscono che l'Io e il Mio, ignorano del tutto il tu e il tuo. Dicono sempre la mia casa, il mio podere, il mio patrimonio, la mia volontà, la mia opinione, il mio desiderio.
      Ignorano del tutto le ascose tenerezze, le ineffabili delizie, le intime compiacenze del nostro; parola che è un nido, in cui la donna sente di poter appiattarsi, accovacciarsi e nascondersi, per godervi il tepore della vita in due.
      Il tirannucolo domestico non ha nulla di nostro, ma tutto è mio. Mio il pensiero, mio il giudizio, mia l'esperienza, mia la ricchezza. Il nostro è un'infrazione alla disciplina del matrimonio, un'usurpazione di legittimo diritto: è una ribellione del suddito al sovrano.
      Di queste ribellioni egli solo giudice, accusatore, carabiniere e birro.
      L'assassino ha i proprii avvocati; la moglie non può e non deve averne. L'infallibilità del marito nelle faccende domestiche, grandi e piccine, è un dogma, indiscutibile e sacro come quello dell'infallibilità papale.
      In questa forma di tirannia l'ingiustizia, la prepotenza, il capriccio piglian forme pigmee, associando l'assurdo al ridicolo; il pretensioso al grottesco.


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L'arte di prender marito
Per far seguito a "L'arte di prender moglie"
di Paolo Mantegazza
Editore Treves Milano
1894 pagine 127

   





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