La donna deve essere fiera del marito suo, e della sua gloria; e del suo ingegno gode quanto lui e più che lui. Essa perdona la bruttezza, i capelli bianchi, perfino le infermità vergognose: non perdona mai l'imbecillità. Se vi è una virilità del corpo, ve n'ha un'altra più alta e più vitale; quella dell'ingegno e dell'energia del carattere. E a questa per onor suo la donna tiene assai più che all'altra. Essa è nata come la vite per appoggiarsi all'albero e quando è costretta invece a sostenere il compagno, può giungere forse fino alla pietà, all'amore giammai, e all'amicizia neppure, perchè non si può aver per amico chi non si stima.
Quando una donna si è venduta ad un ricco imbecille, quando nel giorno si è inebbriata del fasto di un attacco sontuoso, quando ha portato in giro con intima compiacenza le sue gioie, i suoi vestiti di velluto; quando ha gettato in viso alle amiche con sfacciata vanità i suoi servi; essa rientra in casa e seduta accanto al suo imbecille rumina quelle false gioie, che si mutano in bocca in altrettanto fiele.
Più d'una volta fin nell'estasi d'amore è svegliata da una osservazione idiota, da una esclamazione cretina e dal fondo del cuore straziato le sale al labbro il grido di leonessa ferita:
- E costui è mio marito! Ed io porto il nome di questo idiota!
È allora, che il rimorso e la vendetta si fanno alleati inseparabili in quell'anima pentita e alla corona di conte del marito crescon le corna all'infinito. Se la corona è di marchese, le corna fioriscono e rifioriscono con fecondità deliziosa.
| |
L'arte di prender marito
Per far seguito a "L'arte di prender moglie"
di Paolo Mantegazza
Editore Treves Milano 1894
pagine 127 |
|
|
|