Essi non sono mai stanchi che d'una sola stanchezza, quella dell'ozio; mentre l'uomo per sentirsi vivere, per godere della vita deve provare ogni giorno un'altra stanchezza, l'unica salubre, l'unica umana; quella del lavoro.
Sia pure lavoro di sport, a cavallo o sul velocipede o sopra un yacht o a caccia, o lavoro di pensiero nel gabinetto, nello studio, tra i campi, nel vagone o sul piroscafo del viaggiatore. Il lavoro ha tante vie, che a percorrerle tutte un uomo dovrebbe vivere cento vite.
E l'uomo che lavora, quando ritorna a casa e cerca la moglie e sorridendo le narra il frutto dei suoi travagli, trova un altro sorriso, che risponde al suo; e prova l'ebbrezza di chi entrando in un giardino è salutato dai fiori, che per lui esalano il profumo delle loro corolle; e l'amore lo riposa dalla stanchezza, e la coscienza di non aver vissuto invano gli fa tener alta la fronte e gli fa brillar l'occhio di gioia.
Senza fatica, nessun riposo; senza travagli nessuna gioia. È in alto che fioriscono i fiori più belli, che si godono i più larghi orizzonti, e per salire convien sudare.
Infelici, tre volte sciagurati coloro che non hanno mai sudato che di calore.
Figliuola mia, non sposare mai un uomo ozioso.
Oso dire per lunga esperienza, che il marito fannullone è il peggiore di tutti i mariti.
E tu nella tua mente poetica, nella tua fede nel bene non sperar mai di potere colla tua influenza trasformarlo in un lavoratore.
Lo stesso sarebbe pretendere di mutare una tartaruga in una rondine o di trasformare un gufo in un'aquila!
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L'arte di prender marito
Per far seguito a "L'arte di prender moglie"
di Paolo Mantegazza
Editore Treves Milano 1894
pagine 127 |
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