Vi sono curiosità febbrili, ardenti, pruriginose che hanno la forza di una passione e tale era il mio desiderio di conoscere quell'uomo felice, quell'uomo dalle labbra inglesi e dal capo italiano. Un presentimento mi diceva che quell'uomo sarebbe un giorno mio amico. Io avevo allora ventidue anni, e l'ignoto o il fantastico mi inebbriavano in quella prima e calda giovinezza.
Il dì seguente prima della colazione sapeva già che l'inglese si chiamava William B... Coll'ingenuità di un fanciullo io credeva con questo di aver scoperto gran cosa. Del resto, né alla colazione, né al pranzo, né nelle lunghe ore di noia marina che avvicinano tutti i viaggiatori e ne fanno una sola famiglia, io non aveva potuto attaccar discorso con William. Non fuggiva i passeggeri, ma non li cercava, e rispondeva con tanta distrazione a tutte le domande, che davvero avrebbe scoraggiato il più villano e il più sguaiato degli importuni. Sorrideva, sorrideva sempre come fanno gli uomini felici ma faceva gelare sulle labbra il discorso. Spesso aveva un sigaro fra le labbra, ma non fumava; spesso aveva un libro fra le mani, ma non leggeva; egli era solo, tutto immerso nel bagno voluttuoso d'una felicità infinita.
Senza merito mio, il caso mi diede in mano la chiave per penetrare in quella fortezza.
Eravamo giunti a Lisbona il 14 giugno e la sera stessa ne eravamo ripartiti. La mattina del 15 mi alzai per tempissimo e salii sul cassero per respirare l'aria fresca del mattino. William era già in piedi e stava passeggiando con le mani in tasca; io sentii subito il bisogno di mettermi a camminare dalla parte opposta alla sua, volendo rispettare quella sua felice solitudine: ma intanto lo osservava, dirò anzi, lo andavo studiando.
| |
William B William Lisbona
|