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      Masse gigantesche di basalti neri neri e rupi rugose coi piedi nel mare, lacerate, contorte, senza un ciuffo d'erba, senza una casa, e le onde spumeggianti si rompevano fragorose ai loro piedi. Qua e là, presso la costa, isolotti neri anch'essi, senz'alberi, senza fiori, corrosi dalle onde, spezzati e frastagliati, quasi rovine di un mondo minato dal fuoco. Si giunse al Ponte Saò Lourenco, si lasciarono alla sinistra le tre isole che portano nel nome la loro storia molto semplice e triste: Desertos. In pochi momenti si raggiunse un promontorio di basalto, più grosso degli altri, il Capo Carajao. Quel capo segnava i confini del Paradiso.
      Passato il Capo Carajao un profumo di giardino fiorito ci venne incontro colle brezze della terra, e quella terra era un incanto, era un sorriso di orto e di ville, di campi verdeggianti e di boschi bizzarri; era una ghirlanda di tutti i fiori, uno di quei quadri di tutti i colori, che rallegrano il cuore dell'uomo e gli fanno tirare profondo e riposato il respiro.
      Pochi istanti dopo eravamo davanti a Funchal, la capitale dell'isola, che sembrava mollemente adagiata fra i campi di canne da zucchero e di ignami, fra gli orti più cupi dei nostri alberi europei e i boschetti fantastici della banana dalle foglie gigantesche e vellutate: e intorno intorno si apriva un grande anfiteatro di monti altissimi, vere rupi di giganti: e poi a cornice del quadro, due oceani forse troppo grandi per quel nido d'amori: l'oceano del mare e l'oceano del cielo.
      E in quel momento non avreste saputo dire quale dei due più s'avvicinasse all'oltremare o al zaffiro.


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





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