William non era sbarcato con noi.
Un raggio di poesia ebbi anche nella colazione; un bicchiere di antico vino di Madera, di quel vino che in quell'epoca era già morente e che si sorbillava con gelosa avarizia da quei fortunati che lo conservavano nei segreti archivi delle loro cantine; e poi una tazza di caffè, come confesso di non aver bevuto mai in nessuna parte di Europa, d'Africa o d'America. Mentre lo stavo sorbendo con voluttuoso raccoglimento mi ricordo di aver fatto una serena meditazione sulla efficacia dell'educazione. Quel caffè non era di Moka, non era di Yungas: era modestamente cresciuto nell'orto cittadino del signore che mi offriva la sua cortese ospitalità, ma egli stesso con amorosa cura ne aveva veduto maturare i grani ad uno ad uno; ad uno ad uno egli stesso li aveva raccolti, quando la sua lunga esperienza glieli aveva mostrati degni di entrare in quelle sue tazze dorate che venivano dalla China.
Pochi momenti dopo aver sorbito quel caffè ed aver fatto quella filosofica meditazione sull'onnipotenza della scuola a migliorare le cose di questo mondo, mi trovava a cavallo, come parte integrante di una comitiva di passeggeri del Thames che si eran proposti di fare una gita a Palheiro do Ferreiro, villa del conte di Carvalhal, celebre patrizio portoghese che introdusse le prime rane in quell'isola, infelicissima prima di lui di non possederne.
Cavalli e cavalieri impazientissimi si diedero ad attraversare le vie di Funchal, e per quanto il profumo dell'aperta campagna mi attraesse irresistibilmente, dovetti fermarmi davanti ad alcune botteguccie pittoresche, nelle quali si vendeva ogni cosa vendibile e dove il popolo si accalcava a comperare pane, vino e ogni cosa necessaria alla vita.
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