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      Però a poco a poco divento serio anch'io, e tentando di portoghesare il mio italiano, dico a quel signore che mi sta dietro che vorrei cavalcare solo; ma egli o non capisce il mio portoghese o non vuol capirlo, ciò che conduce allo stesso risultato. Non perdo però la pazienza e mi studio di migliorare il mio portoghese.
      Inutile fatica! l'arrieiro è sempre penzolante alla coda del mio cavallo. Qui la pazienza si perde, il mio portoghese si smarrisce e bestemmiando in buon italiano, dò mano alla lingua universale, alla lingua che affratella gli uomini e ne fa una sola famiglia, alla lingua dei segni.
      Do col mio scudiscio due o tre colpi sulla mano dell'arrieiro, che, bestemmiando alla sua volta, si distacca dalla preda e mi lascia solo col mio cavallo.
      Non l'avessi mai fatto! Quell'appendice vivente pare fosse necessaria al buon andamento delle cose, perché appena se ne fu distaccata, il mio cavallo addentò il freno e via, fuggendo fra muri e muricciuoli, senza che io lo potessi frenare un momento. La mia posizione era difficile; ma pochi minuti dopo divenne difficilissima. Il cavallo si gettò ad un tratto in un sentiero di traverso che appena appena lo lasciava passare e rasentava l'orlo di un abisso. I miei piedi si rompevano contro le pietre del muricciuolo; i miei occhi si smarrivano entro un abisso di centinaio e centinaia di metri, e il mio cavallo sbuffando e pieno di schiuma il petto, correva come fosse indiavolato.
      Fu un lampo di un minuto; tutta la mia forza era raccolta ad un solo fine : quello di tenermi in sella; ma il mio cervello vagabondo giunse a formulare questo pensiero che non potrò più dimenticare: Se le mie ossa fra un minuto si trovassero giù nel profondo di quell'abisso, che cosa proverei?


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147