Era William, col volto pallido, improntato ad una angoscia senza nome. Mi riconobbe, si fermò, e appena potè gettare uno sguardo al suolo, sentii due grida nello stesso tempo, come non ne aveva sentito mai e come forse non ne sentirò più nella mia vita:
- William!...
- Emma!...
Quanta passione, quanto dolore, quanta gioia, quanto delirio in quelle due grida! Io non ne sentii nell'anima che l'eco lontana, ma ne ebbi sgomento, e precipitandomi sul mio cavallo, dissi a William:
- Signore, abbiate cura della poveretta. Vado a raggiungere il mio cavallo.
E lo raggiunsi e lo ricondussi a quelle felici creature che, con le mani strette, si stavano guardando e piangevano, e nel velo delle lacrime brillava loro in volto una passione ardente, una gioia senza confine.
Chi può ricordarsi ora di quel che mi dicessero quegli innamorati?
William non poteva parlare e forse mi singhiozzò qualche parola. Credo che mi stringesse la mano e mi chiamasse suo amico, ma non ricordo che me la stringesse anche Emma. Mi affrettai a lasciarli soli, dopo aver saputo che la signora non si era prodotta la più piccola contusione e che non avevano bisogno di me.
Ritornai a Funchal, commosso come chi ha assistito ad una grande catastrofe, ad una scena sublime di passione, di grande sventura o di ineffabile gioia.
Eppure quella catastrofe non era che l'incontro di un uomo e di una donna. Ma i maggiori avvenimenti dei popoli e degli individui non nascono, non si trasformano, non si sciolgono con questa semplicissima combinazione: l'incontro d'un uomo e d'una donna?
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William William Emma Funchal
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