Sento in me ad ogni tratto il Vesuvio e la nebbia di Londra; e voi sorridendo mi avete più d'una volta chiamato vulcano o nebbia, secondo che in me parlava l'italiano o l'inglese.
Giammai io ho sentito come in questi giorni che cosa voglia dire essere un uomo doppio. I sensi caldi, la fantasia ardente, m'accendono colla celerità del lampo; sento che in me Mongibello e Vesuvio divampano in una volta sola e mi guardo e mi tocco, credendo che tanta fiamma consumi il mio corpo gracile e sottile, e soffro e godo e sento come i figli di quella terra che diede Dante e Leonardo, Macchiavelli e i Borgia; ma i sensi non mi divorano, ma la fantasia non mi consuma: nel mio cratere non ho mai veduto la cenere, ma sempre il fuoco ardente. Io mi sento un uomo d'amianto che è sempre fra le fiamme e mai si consuma. In mezzo al delirio, l'uomo inglese non muore; ed io mi osservo, ed io numero i palpiti del mio cuore, ed io sforzo la volontà perché spenga il fuoco; e l'uomo d'azione e l'uomo del senso insieme respirano, insieme combattono e soffrono insieme.
E dopo il delirio, quando l'uomo del mezzogiorno consumato dalle fiamme dorme e riposa, l'inglese sorge più fresco, più attivo, più eccentrico che mai, e rinnovella la passione e fa risorgere il dolore.
Sento come un italiano, agisco come un inglese; e se il moto perpetuo esiste, e se il dolore eterno non è un sogno, in me io trovo il moto perpetuo e l'eterno dolore. La natura che ha dato i vulcani all'Italia le ha dato la brezza profumata dei boschi d'aranci, la natura che ha dato al tropico la gelosia dell'Arabo e la voluttà del serraglio, gli ha dato ancora i lunghi sonni e i beati sbadigli; ma io ho il vulcano e la nebbia; ho l'intensità e l'estensione del dolore.
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