Per molti anni mi ricordo che in casa nostra si era sempre vestiti a lutto.
Eravamo dodici figli; e tu vedi, sono rimasta sola; io l'ultima; e nascendo uccisi mia madre che non ho mai conosciuto.
La zia Anna mi allevò e l'amo tanto perché mi dicono che molto rassomigli alla mia povera mamma.
Anche mio padre era sempre malato, tossiva sempre, e mi ricordo che per molti inverni si andava con lui a Nizza o a Pisa. Una volta si andò fino ad Algeri e si rimase per alcuni mesi a bordo d'una nave. Potrei contare le parole che mi ha detto mio padre in tutta la mia vita; ma spesso mi teneva sulle ginocchia e mi baciava cento e cento volte, e passava la sua mano fra i miei capelli. Egli stesso mi pettinava e mi vestiva, ed io lo amavo e lo temevo in una sola volta; provava per lui una venerazione come quella che si sente quando si prega Dio in una chiesa grande e deserta. Mio padre era così infelice, portava sul volto le tracce di un dolore così profondo, così infinito, che non lo si poteva guardare senza una compassione piena d'amore e di rispetto.
Venuta ai quindici anni, io era rimasta sola di tutti i figli nati a mio padre. Erano morti tutti tisici e mio padre era tutti gli anni minacciato di morire nella stessa maniera.
Ricordo, che baciandolo, io dovevo badar sempre a non stringergli il braccio sinistro, perché si portava una piaga che i medici gli avevano aperta nelle carni. Molte volte i servitori di casa mi guardavano in aria di compassione e mi dicevano con una pietà crudele: - Questa povera Emma tiene duro, essa non vuol morire, ma chi sa poi che ne sarà di lei?
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