Aveva ancora ventiquattro ore dinnanzi a me e la colpa non era mia...
Sono dunque ritornata quest'oggi dal dottor B. e appena riavuta dalla profonda emozione della mia visita, ti scrivo perché tu abbia a volere un po' di bene alla tua Emma, che per amor tuo va a consultare questi ruvidi e superbi sacerdoti della dea Igea, che probabilmente avrà avuto viscere più tenere di loro.
Il dottor B. è un vero gigante: ed io non so come i suoi muscoli tremendi e il suo ventre gigantesco possano rimanere chiusi in quei suoi abiti neri e in quella sua cravatta bianca. Guardando con terrore, quando gesticolava e si dimenava nel suo seggiolone, mi pareva di vedere rotte ad ogni momento quelle fragili dighe che frenavano e chiudevano tanta vita in movimento, e la mia esaltazione mi faceva vedere un'alluvione di carne o di adipe che si sarebbe rovesciata da un minuto all'altro sullo splendido tappeto di quel gabinetto.
Il dottor B. parlava con una voce così forte che a me pareva un grido selvaggio e appassionato; e affermava tutto con tal convinzione profonda e un tal dispotismo di parole che mi sembrava impossibile interromperlo; più impossibile ancora il contraddirlo. In alcuni momenti mi pareva che tutto quanto diceva non potesse essere che la pura verità e che quell'uomo non dovesse conoscere il dubbio neppur di nome. Se il Cristo disse ad un paralitico:
- Prendi il tuo letto e portalo a casa tua! - deve averlo guardato cogli stessi occhi coi quali il dottor B. mi guardava; deve avergli parlato collo stesso accento con cui egli mi dirigeva le sue parole simili alla folgore e al tuono.
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Emma Igea Cristo
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